L’Italia si trova ad affrontare un calo dei salari a termine reale e cambiamenti commerciali

L’Italia è alle prese con una duplice sfida economica: i salari orari reali dei lavoratori stanno diminuendo, mentre i flussi di esportazione e importazione si stanno spostando notevolmente. I dati pubblicati questa settimana dall’Istat rivelano che, nel settembre 2025, i salari orari contrattuali erano inferiori dell’8,8% in termini reali rispetto a gennaio 2021. Allo stesso tempo, i salari nominali sono rimasti stabili tra agosto e settembre, ed erano più alti del 2,6% su base annua.

Dai dati Istat emerge che l’aumento su base annua dei salari nominali è stato più forte tra i dipendenti pubblici (+3,3%) che tra quelli che lavorano nell’industria (+2,3%) o nei servizi privati ​​(+2,4%). Nel frattempo, i dati commerciali indicano modelli di esportazione volatili: le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono aumentate del 34,4% a settembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate del 76,8%. Allo stesso tempo, le esportazioni verso i 27 paesi extra UE sono aumentate del 9,9% e le importazioni da questi paesi sono aumentate del 16,9%.

A settembre le esportazioni verso i paesi OPEC sono aumentate del 23,8% su base annua, mentre quelle verso il Giappone e la Svizzera sono cresciute rispettivamente del 15,6% e del 10%. Le esportazioni verso la Turchia sono invece diminuite del 33,9%. Le importazioni dalla Cina e dall’India sono aumentate rispettivamente del 32,3% e del 28,6%. Nonostante la crescita delle esportazioni, il surplus commerciale dell’Italia con i paesi extra-UE a settembre si è attestato a 2,738 miliardi di euro, in calo rispetto ai 3,753 miliardi di euro di settembre 2024; escludendo l’energia, il surplus è stato di 6,177 miliardi di euro, in calo rispetto a 7,679 miliardi di euro.

Insieme, questi dati evidenziano un’economia sotto pressione. Sul fronte salariale, nonostante la crescita modesta della retribuzione nominale, l’inflazione e le pressioni sui costi stanno erodendo il potere d’acquisto. Gli ultimi dati Istat mostrano prezzi al consumo stabili ad un tasso annuo dell’1,6% a settembre, con un’inflazione core (esclusi energia e alimentari freschi) al 2,1%.

Calano le previsioni di crescita del Pil

Il contesto più ampio è quello di una crescita debole: l’Istat prevede una crescita del PIL italiano pari a circa lo 0,6% per il 2025 e allo 0,8% per il 2026, in calo rispetto alle aspettative precedenti. I settori orientati all’export si trovano ad affrontare l’incertezza poiché la domanda globale rallenta e i rischi legati alla politica commerciale aumentano. L’aumento delle importazioni da Stati Uniti, Cina e India suggerisce aggiustamenti nella catena di approvvigionamento, ma il calo del surplus commerciale non energetico segnala una crescente tensione.

Per i lavoratori e le famiglie italiane le implicazioni sono chiare: la stagnazione delle retribuzioni nominali, l’erosione dei redditi reali e l’aumento del costo della vita potrebbero pesare sui consumi e sulla domanda interna. Anche per le imprese e i politici il messaggio è urgente: migliorare la produttività, combattere l’inflazione e gestire il rischio esterno saranno essenziali per invertire la caduta dei salari e sostenere il motore delle esportazioni.